giovedì 17 luglio 2014

Slow Food e Fast Food: due filosofie a confronto




“Provare amore per il cibo è il modo più personale e meno astratto di essere ambientalisti”


            I nostri tempi sono caratterizzati da una grande frenesia che impone ritmi pesanti, accelerati e difficili da sopportare. La fast life permea ogni aspetto della nostra vita, persino l’alimentazione, condizionando i tempi e la qualità; i nostri pasti assomigliano sempre più spesso a “soste di rifornimento” piuttosto che a piacevoli momenti conviviali, si consumano in fretta ed a volte anche da soli (Laudonia, 2004).
            Diventa più frequente per le famiglie riunirsi nei fast food dove il pasto medio dura circa undici minuti; gli americani, ad esempio, dedicano ai pasti pochissimo tempo (circa un’ora al giorno) e sono la popolazione che acquista la maggior parte di cibi precotti. Nel 2001 hanno speso più di centodieci milioni di dollari in fast food; essi spendono, per questo bene di consumo, più che per l’educazione, pc, libri, automobili messi insieme (Schlosser, 2002).
            In questo articolo verranno confrontate due filosofie della ristorazione: il fenomeno Fast Food, come elogio della velocità, ed il fenomeno Slow Food, promotore del messaggio “mangiamo bene, sano, di qualità e con calma”.    
            Preferire un sistema piuttosto che un altro è una questione legata ad una scelta individuale ed allo stile di vita della persona, che a loro volta possono variare a seconda della cultura, dei ritmi dettati dalle modalità di lavoro e dall’impostazione della propria quotidianità.

Il fenomeno Slow Food

            Slow food è un movimento internazionale democratico, culturale, di promozione sociale e di formazione dell’individuo basato sull’adesione volontaria di persone che intendono coltivare comuni interessi di carattere culturale nel campo dell’alimentazione. Esso opera per la tutela del diritto al piacere, per il rispetto dei ritmi di vita e per un rapporto armonico con la natura (Statuto Internazionale, 2003).
            Il movimento Slow Food è nato a Parigi nel 1989 come risposta al dilagare omologante del fast food ed alla frenesia della fast life; esso infatti si contrappone alla tendenza alla standardizzazione del gusto, rivendica l’assunzione di un nuovo senso di responsabilità nei confronti della produzione e del consumo del cibo, si dimostra più attento alla salvaguardia dell’ambiente ed alla qualità dei prodotti (Petrini, Padovani, 2005) ed infine, difende la necessità di informazione da parte dei consumatori nel mondo.
            La sede principale è a Bra, in Piemonte, mentre le altre sedi sono state aperte in Svizzera (1995), in Germania (1998), negli Stati Uniti a New York (2000) e in Francia a Montpellier (2003).
Tra gli aspetti fondanti la filosofia Slow Food va menzionato l’Educazione al Gusto: Slow Food si propone di formare nuovamente la sfera sensoriale dell’uomo che si è impoverita; le nuove generazioni in particolare rischiano di perdere insieme ai legami con il territorio ed al rapporto con le stagioni, il senso stesso dell’atto nutritivo, le sue valenze salutari e culturali. Questa attività di educazione alimentare e del gusto si basa:

  • sul risveglio e l’allenamento dei nostri sensi;
  • sulla degustazione come esperienza formativa e di conoscenza anche di se stessi;
  • sull’apprendimento delle tecniche produttive del cibo per capire come nascono le qualità di un prodotto e quanto siano ancora importanti i procedimenti tradizionali e la loro varietà.
           
 Il fenomeno Fast Food

            Oggi, esistono locali e metodi d’alimentazione che ci consentono di soddisfare il bisogno di mangiare senza un’eccessiva perdita di tempo; questi luoghi vengono definiti Fast Food e sono diventati un elogio della velocità. Essa si contrappone alla lentezza di quei pranzi lunghi, ricchi di portate, che spesso risultano essere monotoni ed inutili, quindi è intesa come velocità del servizio che permette allo stesso tempo di gustare velocemente una pietanza.
            Dai primi anni Novanta, molti italiani, soprattutto gli adolescenti, prediligono il fast food come tipo di ristorazione. Molto spesso, esso diventa un punto di ritrovo, così come accadeva nel telefilm “Happy Days” alla tavola calda di Arnold’s.
            Il modello classico di Fast Food si basa essenzialmente su hamburger e patatine, ma in Italia, esistevano già fast food che servivano panini caldi da passeggio che riproponevano le tradizioni regionali: ad esempio, a Firenze, è possibile trovare i carrettini dei trippai dove primeggiano cibi come il panino al lampredotto (settore dell’apparato digerente dei ruminanti), le budelline agnellate o l’inzimino di trippa; a Napoli, invece, è abitudine, mangiare per strada, la pizza ripiegata in quattro oppure il cosiddetto morzeddu cantarese (interiora di vitello cotte in un sugo piccante servito in una ciambella di pane morbido).
            Oggi, vanno affermandosi altri tipici modi di pranzare velocemente e con gusto; la gastronomia italiana, ad esempio, propone oltre la pizza, le torte salate o il gelato che si prestano a molte variazioni di gusto e che possono essere consumate velocemente; esistono pranzi veloci preparati a base di sandwiches contenenti vari alimenti che, in termini nutritivi, possono essere paragonati ad una dieta tradizionale (ad esempio un sandwiches con all’interno una frittata di verdure).
            Infine, esistono anche i Mozzarella Wine Bar, che offrono piatti veloci ispirati alla cucina tradizionale come la caprese, la pasta all’uovo ripiena, accompagnati da vino genuino e da macedonia di frutta (www.fastfood-slow food.it).

Le strategie di marketing Slow Food
Il logo
   
        

Il logo del movimento internazionale Slow Food è rappresentato da una chiocciola stilizzata, simbolo per antonomasia della lentezza. Slow Food ricorre ad essa proprio per sottolineare i punti salienti della “filosofia slow” ossia, la rivendicazione del diritto al piacere conviviale opposto all’omologazione del fast food, il recupero del valore della lentezza: “lento è gusto, la nuova tavola è lenta e gustosa, fatta di prodotti tipici ed assaporati senza fretta. Meglio se in compagnia”.
           
 La rappresentazione del cibo

            Nelle pubblicità Slow Food, il cibo è in primo piano. Le immagini dei singoli prodotti sono talmente nitide che sembra quasi possibile immaginarne il sapore; la freschezza e la qualità appaiono indissolubili dal prodotto stesso; l’esaltazione dei colori diventa fondamentale per comunicare le proprietà organolettiche.
            Attraverso le sue pubblicità ed i suoi annunci, Slow Food ci fa diventare consumatori consapevoli a partire dalle materie prime che utilizziamo o mangiamo; alcuni semplici alimenti, di cui ci nutriamo, si portano dietro un carico di storia ed una infinità di simboli che spesso ignoriamo. Ad esempio, la zucca, a cui noi associamo il significato di stupidità, in alcune società africane è molto ricercata perché i suoi semi procurerebbero intelligenza, altre tradizioni la utilizzano come strumento musicale (Failoni, 2004); il dizionario Zanichelli (2004) fa derivare il termine “zucca” da “cocutia” che significa “testa”; inoltre, questo alimento ci consente di mangiare succulenti tortelli di zucca, simbolo e vanto gastronomico del mantovano. Tutte queste informazioni attribuiscono ad un alimento, che molti di noi considerano banale, un’immagine più importante che sicuramente andrà ad influire sul desiderio d’acquisto di un prodotto a base di zucca. La stessa headline “L’intelligenza della zucca” (Failoni, 2004), dimostra che l’obiettivo di Slow Food è quello di attribuire dignità culturale alle tematiche del cibo.
            Gli slogan dei messaggi pubblicitari ricorrono a cinque delle sei funzioni linguistiche elaborate da Jakobson: metalinguistica (es. “A tavola piano…piano”), estetica (es. “Master of food: il giro del gusto il ventitre corsi”), denotativa (es. “Guida alla salvaguardia del gusto”), fàtica (es. “L’arte del piacere”), espressiva (es. “Una Terra, Tre Anime”); è assente la funzione imperativa, probabilmente perché l’amore per il gusto non può e non deve essere imposto da nessuno tanto meno da un messaggio pubblicitario.
            La maggioranza dei messaggi pubblicitari, per avere un migliore effetto suggestivo, presenta contenuti razionali ed emotivi: la headline ed il visual, che hanno il compito di richiamare l’attenzione, fanno leva soprattutto sull’aspetto emotivo; il linguaggio deve essere suggestivo, fresco, non deve risultare monotono; le frasi sono preferite brevi ed uniconcettuali (Medici, 1952). La bodycopy invece presenta argomentazioni razionali centrate sulla qualità e sulle caratteristiche del prodotto.
            Le figure retoriche più utilizzate sono: la metafora (“Lasciatevi prendere per la gola”), la ripetizione (“I grandi usano una grande acqua”), l’enumerazione (“Puro Cotto e nient’altro”), la metonimia (“Norvegia al forno”), l’ossimoro (“Piccoli, grandi gesti tramandati nel tempo”), il luogo comune (“L’arte del piacere”), l’iperbole (“La più grande invenzione degli ultimi mille anni nasce in Pianura Padana).
            Considerando il codice iconico, la categoria topologica più utilizzata per la rappresentazione del cibo è di tipo assiale ossia il prodotto è visibile al centro. La categoria cromatica è indispensabile; essa non si limita a comunicare soltanto la qualità del prodotto, ma anche i valori della quotidianità.

            La pubblicità proposta da “Sangiolaro Biò. Pesce del Mediterraneo” presenta un tagliere di vari prodotti a base di pesce, due fette di pane, un coltello ed infine barattoli che fungono da sfondo. Il codice linguistico si limita ad esplicitare il marchio ed i tipi di prodotti che questo offre ad esempio “Cipolle di Tropea con cuore di tonno”; appare una delle parole-fuse più usate dai pubblicitari: “cuore” che ha lo scopo di attirare l’attenzione (Puggelli, 2000); il codice iconico invece comunica i valori associati al marchio: freschezza, possibilità di scelta, gusto, tradizione, amore per il cibo cioè tutto ciò che Slow Food si propone di diffondere.
            I colori dei prodotti sono ricchi di sfumature così come la natura ce li offre e come deve essere fondamentale per un prodotto di qualità; il colore rosso dei coperchi dei barattoli e dei pomodori a pezzetti, comunica per metonimia sole del Mediterraneo, Italia, natura; le gradazioni del colore dell’olio, che ricopre le cipolle e le olive, comunicano sapore, gusto, qualità ed indicano anche gesti quotidiani che avvengono nelle mura domestiche come assaggiare qualche delizia, accompagnata da fette di pane casereccio, senza preoccuparsi di ungere il tagliere.

La rappresentazione delle bevande

            La maggioranza dei messaggi pubblicitari riguardanti i vini utilizzano un linguaggio soprattutto estetico ed emotivo (o fatico). I valori comunicati sono fondamentalmente la passione per il vino, l’amore per la terra, la tradizione, l’arte, la cultura.
            Il codice linguistico presenta soltanto il brand name e la headline; Il linguaggio verbale è quasi subordinato a quello visivo infatti la bodycopy è spesso assente. Il codice iconico invece è essenziale, poiché è in grado di comunicare con molta espressività ed in modo immediato.
            Un ulteriore aspetto fortemente usato dalle pubblicità Slow Food è l’inserimento di funzioni poetiche all’interno del linguaggio per sfruttare il prestigio e la forza d’attrazione della lingua poetica.
            Una testimonianza lampante ci viene offerta dal marchio “Terredavino”; esso propone un moscato passito chiamato “La bella estate”. Questo titolo sfrutta la notorietà di un’opera di Cesare Pavesi intitolata anch’essa “La bella estate”; inoltre il messaggio pubblicitario relativo a questo vino, presenta sullo sfondo anche alcuni versi del romanzo.
            Tra le categorie eidetiche, sono ricorrenti le linee curve delle bottiglie di vino, dei bicchieri che lo contengono; esse indicano femminilità e dolcezza e molto spesso questi concetti sono rafforzati mediante la presenza di donne-testimonial.
            Un tema ricorrente è quello del rapporto uomo-natura, infatti, oltre alla bottiglia di vino, spesso vengono rappresentati i vigneti e le colline.
            I colori più frequenti in queste rappresentazioni sono il nero o il bianco che fungono da sfondo per mettere in primo piano la bottiglia o il calice del vino, oppure il nero ed il dorato della bottiglia che comunicano eleganza ed intensità; il rosso indice di passione ed energia, il giallo per comunicare positività e dinamicità.
            Le pubblicità di acque comunicano a differenza di quelle relative ai vini, valori di purezza, limpidezza e leggerezza. Questi concetti sono ovviamente sostenuti e rafforzati da colori chiari come il bianco, l’argento, il verde.
            Tutti i prodotti pubblicizzati da Slow Food hanno in comune un valore: il prestigio. Un prodotto prestigioso generalmente richiede un lungo impegno da parte di chi lo produce, amore per il proprio lavoro, cura dei minimi particolari ed infine un giusto compromesso qualità/prezzo (inoltre un prezzo elevato rafforza l’immagine di un prodotto di qualità). Lo slogan “Non Si Fabbrica, Si fa” (Parmigiano Reggiano) è un esempio di come il marchio voglia comunicare al suo target questi valori.
            Una caratteristica ricorrente, nella maggioranza delle pubblicità Slow Food, è l’assenza di forme verbali nella headline, es. “Vino moderno ed elegante”, “Legame indissolubile”, “L’essenza, la mia terra, il mio vino”, “Alle cene importanti, occhio all’etichetta”; quando, invece, sono presenti, essi mirano ad evocare un’immagine o una sensazione, inducendo il consumatore a riflettere piuttosto che ad agire; ad esempio “Coltiviamo la passione”, “Piccoli grandi gesti tramandati nel tempo”, “Quando l’amore cresce”. Questi slogan comunicano e celano, allo stesso tempo, l’esistenza di un “legame nostalgico” con il prodotto; un legame fatto d’amore, di dedizione e d’impegno. Tale legame, a sua volta, rafforza l’immagine di prestigio dei prodotti.
                       
           
Le strategie di marketing Fast Food

 I loghi
           





Il logo impiegato da McDonald’s è rappresentato da una “M” gialla ossia l’iniziale del nome del marchio e dei proprietari che l’hanno fondata; esso ricorda anche la forma di due archi, che potrebbe significare che c’è un tetto che può ospitare chi ha bisogno di un pasto buono e veloce. Il suo colore, il giallo, comunica positività, solarità, quasi fosse un posto accogliente che ci sorride, lo sfondo invece è rosso come il tetto dei punti ristoro ed è utile per attrarre lo sguardo e comunicare energia non solo ai giovani ma anche alle famiglie.
            Lo slogan “I’m lovin’it” che significa “Sono innamorato di esso” svolge una funzione di contatto (o fàtica); esso infatti si prefigge di evocare una sensazione, un sentimento. Il processo di persuasione fa leva sulla riprova sociale: lo scopo è quello di persuadere il target esplicitando quale sia il coinvolgimento emotivo degli altri mentre è implicito quale sia il loro comportamento.
         
   Il logo utilizzato da Burger King, invece, vuole ricordare la forma di un hamburger; l’attenzione è calamitata subito dal messaggio linguistico “Burger King” che s’impone prepotentemente tra i due mezzi panini sostituendosi alla carne; la forma sferica del marchio però potrebbe anche assomigliare a quella del pianeta Terra dove Burger King si espande; il nome, che significa “carne da Re”, comunica grandiosità o meglio grandezza, una caratteristica fondamentale degli hamburger che questo marchio offre al suo target; il colore rosso, con il quale è stampato il brand name, è il colore dell’energia adatto ai giovani mentre la sua tonalità scura indica versatilità del prodotto in quanto rivolto ad un consumo maschile e femminile; infine l’abbinamento con il blu ed il giallo conferisce dinamicità.
            Lo slogan “La nuova generazione del gusto” è intriso di energia. Esso vuole comunicare tre concetti importanti: novità e gusto al servizio dei giovani; il marchio infatti si propone di venire incontro alle esigenze della nuova generazione attraverso nuovi gusti e sapori.
           
La rappresentazione del cibo

            Se le pubblicità Slow Food, orientano il target “a riflettere” sul valore e sul prestigio, le pubblicità fast food presuppongono un ruolo più attivo, invitandolo a compiere un’azione, ad esempio: “Provalo in ogni menu”, “Gusta la convenienza”.
            La scelta del nome del prodotto da pubblicizzare è un passo fondamentale. Esso possiede generalmente una chiarezza semantica in grado di veicolare tutti i connotati possibili: ad esempio, la novità di McDonald’s, “Salads Plus” chiarifica non solo il tipo di prodotto lanciato sul mercato (cioè l’Insalata) ma cerca di evocare una serie di significati grazie al secondo referente; “plus” infatti significa “quantità positiva” ed associato al nome salads potrebbe significare che la quantità della porzione è:

  • positiva dal punto di vista nutrizionale perché contiene un mix di ingredienti (insalata più);
  • positiva perché è anche gustosa;
  • positiva per chi ama la leggerezza.

            Il referente che viene impiegato con più frequenza nei messaggi pubblicitari è “gusto”, un valore essenziale per le catene di ristorazione, ad esempio:
  •  “un salto nel gusto”;
  • “gusta la convenienza”;
  • “offerta doppio gusto”;
  • “great taste”;
  • “un gusto rotondo e sempre diverso”;
  • “le orticelle per chi gusta le verdure”.

            Burger King propone anche un altro valore: la grandezza. Questo concetto evocato già dal brand name, viene personificato da un hamburger chiamato “Whopper”, termine che può essere tradotto in “enormità” caratteristica fondamentale del prodotto; ma whopper significa anche “fandonia”, si tratta di una delle figure retoriche più utilizzate in pubblicità ossia l’ironia che agisce come un gioco provocatorio in cui il pensiero che si vuole comunicare viene sostituito da uno di senso contrario (potrebbe sembrare una fandonia l’offerta di un hamburger così grande!).
            Altre figure retoriche impiegate dalle pubblicità fast food, sono l’iperbole, la personificazione, la metafora; l’iperbole, attribuisce al linguaggio coloriture d’espressione molto efficaci: ad esempio  “Hot Chili Hamburger…per chi ha il diavolo in corpo” è uno slogan di Burger King per il lancio sul mercato di hamburger con salsa hot chili e peperoncino. Il linguaggio in questo caso svolge una funzione fàtica per evocare una sensazione così come si propone la headline “Piccante Tentazione”.
            La categoria topologica utilizzata è fondamentalmente di tipo assiale; fanno eccezione i messaggi promozionali che ricorrono invece ad una struttura sequenziale soprattutto quando la promozione riguarda più prodotti.
            Le categorie eidetiche utilizzate possono variare a seconda del prodotto e del packaging. Le forme tondeggianti, che conferiscono morbidezza, sono onnipresenti: a partire dagli hamburger che appaiono morbidissimi, fino ad arrivare ai pomodorini (interi) presenti nelle insalate o nei vassoi che le contengono. Invece, i packaging degli snack prediligono le linee dritte che in questo caso comunicano resistenza, la loro dimensione inoltre consente sempre di mettere in evidenza il prodotto contenuto, rafforzando l’illusione di un maggior volume; le patatine infatti sembrano traboccare.
            I colori impiegati nei messaggi pubblicitari vengono adattati conformemente all’alimento; ad esempio, se si pubblicizza un tipo di insalata, lo sfondo sarà verde o giallo per richiamare alcuni valori come freschezza e natura. Nell’annuncio pubblicitario “Le Orticelle” proposto da Spizzico, sono visibili tante zucchine verdi che fungono da sfondo, il logo di Spizzico formato da carote di colore arancio, mentre in basso appaiono gli ortaggi pastellati; infine, il messaggio di tipo linguistico è scritto in bianco. Il cromatismo impiegato, inoltre, rinforza il carattere di italianità già sotteso dal marchio.
            Analizzando l’impiego della retorica anche nel codice iconico, possiamo assistere a:

  • trasformazione della metafora in metamorfosi (Fabris, 1994) come testimoniato dall’omino fatto di verdure che si butta nell’insalata;
  • personificazione come l’uomo McDonald’s (Ronald) o l’euro animato presente in una recente pubblicità di McDonald’s.

            Alcune promozioni sono rivolte soprattutto ai bambini; esse fanno ricorso generalmente ad elementi aggiuntivi ad un menu completo al fine di spingere i clienti all’acquisto: ad esempio, gli Happy Meal di McDonald’s contengono personaggi Disney, i Kids Meals sono menu contenenti altri giochi. Queste promozioni utilizzano la tattica del “numero limitato” cioè avvertono la clientela che le scorte di gadget sono in via di esaurimento (regola della scarsità). Invece, le promozioni che utilizzano buoni-sconti, ricorrono alla tattica dell’offerta valida per pochi giorni.
            La rappresentazione delle bevande non è oggetto di attenzioni come nelle pubblicità slow food; generalmente vengono presentate nei menu, in abbinamento agli altri prodotti e raffigurati sempre allo stesso modo cioè in bicchiere con ghiaccio e cannuccia e posti sempre sullo sfondo, dietro agli alimenti.
            Il processo di persuasione delle pubblicità fast food attiva essenzialmente un percorso periferico; inoltre, esse cercano spesso di creare il cosiddetto “Effetto Bandwagon” cioè l’impressione che tutti siano a favore dello stesso “oggetto” (Pratkanis, Aronson, 1996): è il caso di quelle immagini che illustrano la folla di giovani e famiglie che entusiasti, si rivolgono a questo tipo di ristorazione.
           
Le forme verbali impiegate da Slow Food, invitano il consumatore a “riflettere” affinché sappia cogliere tutti i valori che il marchio intende trasmettere, mentre quelle utilizzate dai Fast Food presuppongono un ruolo più attivo, dinamico; il consumatore viene invitato, direttamente o indirettamente, ad assaggiare le novità. In questi casi, la funzione del linguaggio è soprattutto imperativa in quanto suggerisce al target quale sia il comportamento da assumere.
            I colori impiegati sono fondamentalmente gli stessi, fatta eccezione per le rappresentazioni in bianco e nero utilizzate da Slow Food; inoltre, nelle pubblicità Slow Food, la rappresentazione delle bevande è oggetto di attenzioni come per le rappresentazioni del cibo mentre quelle reclamizzate dai Fast Food rivestono un ruolo secondario anche perché la gamma delle bevande è abbastanza limitata.   
            Il ricorso a testimonial è più frequente nelle pubblicità Slow Food, pur restando comunque limitato.
            Una caratteristica esclusiva dei Fast Food invece è l’impiego di gadget per indurre il consumatore all’acquisto.
            Le differenze fondamentali riscontrate sono legate strettamente alla filosofia del marchio. Slow Food è un’Associazione che opera per la tutela del diritto al piacere e per la salvaguardia della qualità dei prodotti. L’immagine che ne deriva è impreziosita da tutto ciò che fa da contorno (eventi, Presidi, mostre, ecc.).
            Le catene dei Fast Food puntano il loro successo sull’offerta di prodotti alla portata di tutti, quindi siamo di fronte ad una perenne lotta sul mercato. Ad esempio, McDonald’s lancia nove prodotti, ognuno al prezzo di un euro e Burger King risponde con undici piatti a novantanove centesimi.
            Sarebbe sbagliato dedurre che le strategie pubblicitarie degli Slow Food siano migliori di quelle Fast Food o viceversa; non dobbiamo dimenticare infatti che ogni marchio sceglie il suo posizionamento ideale a seconda del target e dei prodotti che intende offrire. Infine, sta a noi scegliere quale sistema preferire quando, dove e come.




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