domenica 15 novembre 2020

10 Ottobre 2020 -Giornata mondiale della Salute Mentale: Esperienze sul percorso di Psicoterapia

 

 



 

In occasione del 10 Ottobre 2020, Giornata mondiale della Salute Mentale,  ho proposto ai miei pazienti di  partecipare ad una raccolta di testimonianze sulla Psicoterapia, al fine di sensibilizzare alla cura della salute mentale e superare i pregiudizi  legati, ancora, alla figura dello psicologo.

Dal loro contributo è possibile comprendere l’obiettivo di un percorso psicoterapico e il senso del cambiamento interiore che lentamente si raggiunge.

Le domande erano le seguenti: 

Qual è stata la tua esperienza di psicoterapia? La consiglieresti a qualcuno in difficoltà?

 

“La mia esperienza è ancora in divenire e molto soddisfacente: ho scoperto aspetti di me che non conoscevo e ho fatto pace con un'infanzia non sempre serena. Consiglio SEMPRE un percorso psicoterapico a qualcuno in difficoltà perché io stessa ne trovo enorme giovamento. Lo psicoterapeuta è un professionista che sa collegare azioni e reazioni presenti con il vissuto interiore pregresso di una persona per farle prendere coscienza di alcuni meccanismi, in modo da non ripetere sempre gli stessi errori e acquisire maggiore consapevolezza delle proprie risorse, a volte neanche intuite, così come dei propri limiti.”

 

“Il percorso psicoterapico ha aiutato me a capirmi meglio e sapere ed esternare meglio le mie problematiche; prima di intraprendere questo percorso ero scettica e un po’ mi vergognavo nel farlo ma ad oggi consiglierei a molti di liberarsi dei propri limiti e farsi aiutare da un professionista che ci permette di scavare nel nostro passato e ritrovare episodi che noi ritenevamo inutili o anche perduti.”

 

 “Il mio percorso psicoterapico personale è iniziato solo da qualche mese e ci sono arrivata sì molto decisa, ma solo dopo che un certo malessere, già presente e montante, si era manifestato in tutta la sua più visibile potenza. Penso che uno dei benefici di un percorso psicoterapico sia che non esiste un momento preciso e definito nella nostra vita per iniziarlo, ma quando decidi di affrontarlo hai l’opportunità di rileggere con lenti nuove (e più funzionali) la tua storia, le tue emozioni, il tuo modo di vivere le relazioni e stare nelle cose. È un po’ come se alcune “cose” che erano rimaste al buio fino a quel momento venissero illuminate e potessi vederle con chiarezza. Consiglierei un percorso psicoterapico a qualcuno in difficoltà, ma anche solo a chi ha voglia di scoprirsi meglio, perché credo sia un grande atto di amore, rispetto e consapevolezza verso se stessi (e verso gli altri) e perché la (tutela della) salute mentale, ancora molto bistrattata, ha ricadute positive sul benessere dell’intera collettività.”

 

“La mia esperienza è stata una psicoterapia di coppia; certo consiglierei un percorso psicoterapeutico e in effetti l’ho già consigliato. Ovviamente il motivo è legato al fatto di averne trovato personalmente giovamento nonostante le titubanze iniziali sull’efficacia ed utilità della terapia, titubanze che probabilmente appartengono a chiunque non ne abbia mai avuto bisogno oppure ha sentito parlare di terapie fallimentari o ancora potrebbe aver avuto esperienza negativa.”

 

“Ho iniziato il percorso di psicoterapia perché ero smarrita e mi sentivo in una bolla, la psicoterapia mi ha aiutato a sbloccarmi emotivamente e a rielaborare in parte il lutto di mio padre. Ho consigliato la psicoterapeuta a persone  a me care perché le ho percepite depresse.”

 

“Mi sorprendo del fatto che stia meglio, non faccio incubi, pensavo che non ne sarei mai uscita; mi sembra strano che il passato sia diventato passato; è stato più semplice elaborarlo che andare avanti negli anni. Vivo meglio i momenti, mi sento più presente. Sto vivendo il mio tempo e non mi sento né in anticipo, né in ritardo. Ora voglio consentirmi di provare, sbagliare ed essere felice”

 

“La mia esperienza è iniziata circa un anno fa, in seguito alla manifestazione di frequenti e profondi stati di malessere e tristezza che attribuivo ad una situazione affettiva non realizzata che mi teneva bloccata da molti anni e dalla quale non vedevo alcuna possibilità di uscita. Ho deciso di iniziare il percorso dopo aver capito che avevo esaurito negli anni tutte le possibilità di potercela fare da sola con le mie forze. Quindi sono partita da una situazione di fallimento e impotenza. Il percorso è stato difficile da accettare all'inizio perché persuasa dall'idea che potesse risultare non utile alla soluzione del mio caso specifico, o fosse addirittura nocivo per il solo fatto che mi faceva male parlare e ripercorrere quella mia particolare situazione durante le sedute. Vivevo un blocco iniziale che mi portava delle volte quasi ad estraniarmi dal setting che costruivamo durante la terapia e a stare male in alcuni periodi anche senza capire precisamente perché. Ma era il segno che qualcosa si stava indubbiamente "scongelando". Ho preso alcuni mesi di pausa per capire se sarei stata meglio, ma ho accumulato momenti di tensione e insoddisfazione su tutti i fronti, affettivo e fisico principalmente. La terapia è ripresa per via di un forte attacco di panico, che sto gestendo con le cure del caso. Da allora, sto affrontando la psicoterapia con più consapevolezza e meno paura, ed è come se alcuni nodi della mia intera esistenza si stessero piano piano sciogliendo. Parecchia gente dice di vedermi diversa. Io stessa sto riscoprendo le mie potenzialità e in particolare sto ascoltando i miei bisogni. La strada la sento ancora lunga, e non so ancora dove mi porterà questo percorso, non so se riuscirò a voltare pagina definitivamente in merito alla mia situazione affettiva iniziale... convivo con questo dubbio disturbante. Ma la cosa importante è che con la terapia mi sto concedendo delle preziose possibilità di maturazione e cambiamento, che sono ormai imprescindibili. Non so se consiglierei la psicoterapia ad una persona in difficoltà, per il semplice fatto che tutte le volte che negli anni l'hanno consigliata a me, ho puntualmente procrastinato con le scuse più fantasiose. Il momento giusto per ciascuno forse arriva quando scatta una molla interiore che ti fa capire che ormai sei immobile, che non stai più vivendo, che non bastano più le tue sole forze a risolvere il problema. E il momento giusto lo senti solo tu. Consigliare un percorso è indubbiamente buona cosa, ma dalla mia esperienza ho notato che poi i tempi di concretizzazione sono soggettivi.”

 

“Consiglierei vivamente un percorso di psicoterapia , poiché lo reputo un percorso di salute vero e proprio, un momento in cui dici a te stesso  "ok, ora inizio davvero a cambiare le cose partendo da ME "  perché parte dalla conoscenza e consapevolezza di sé stessi per imparare a muoversi poi nel mondo e iniziare a vivere la vita con serenità  . Io la vedo un po' come un'occasione di consapevolezza e rinascita  per ognuno .”

 

“Per me è  stata  un’esperienza molto importante perché mi ha aiutato a superare una fase importante e difficile della mia vita e prima di questa  mia esperienza mai avrei pensato di trarne tanto beneficio e per questa ragione  che senza ombra di dubbio  consiglierei questo percorso a chi fosse in difficoltà. La mia esperienza  mi ha aiutato  a risolvere problematiche  che non sapevo  potessero risiedere nel mio passato e per alcuni  versi,  ahimè hanno condizionato le mie scelte. Il percorso che sto facendo  è stato  fondamentale  e lo è ancora a chiudere alcune pagine  forti della  mia  vita e a consentirmi di  affrontare ciò che mi spetta nella giusta maniera e con la corretta consapevolezza che mai avrei pensato di raggiungere prima.”

 


 

 

Ogni paziente è unico, come unica è la sua storia e la relazione terapeutica. Ognuno senza saperlo ti insegna qualcosa del tuo lavoro e di te stessa. Per tale motivo chi svolge questo lavoro è un privilegiato!

Per questo GRAZIE!

 

lunedì 20 aprile 2020

Il Panico: dal terrore alla comprensione




Con il termine “panico” si intende uno stato di terrore difficilmente domabile provocato da un evento improvviso. L’etimologia deriva dal Dio  “Pan”  della mitologia greca; la leggenda narra che Pan, nato dall’unione tra il dio Ermes e la ninfa Driope, fu abbandonato alla nascita dalla madre, la quale, inorridita dalla sua bruttezza, si rifiutò di allevarlo. Pan infatti era dotato di un’espressione terrificante e aveva un corpo per metà uomo e per metà capra, con corna,  zampe irsute e zoccoli; era il Dio delle greggi, dei boschi e degli animali, un “Dio solitario dotato di una voce spaventosa che incuteva una grande paura (da qui il nome panico). Tuttavia, contrariamente al suo aspetto fisico, era un dio gioviale e generoso, sempre pronto ad aiutare chi chiedesse il suo aiuto.
Così come il Dio Pan aveva un duplice aspetto, non solo fisico ma anche caratteriale, allo stesso modo, in questo articolo, cercheremo di vedere la “l’altra  faccia” del panico, ovvero, la sua utilità dal punto di vista terapeutico.

Il Panico: non solo questione di psiche

Il DSM V (Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali) definisce l’attacco di panico  “Un improvviso attacco di intensa paura o intenso disagio, che raggiunge il culmine in breve tempo (nell’ordine dei minuti) e comprende sintomi come tachicardia, sudorazione, sensazione di soffocamento, dolore al petto, paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire.
Chi soffre di Panico, infatti, teme spesso che il disturbo sia solo nella sua testa, quasi fosse un’invenzione, uno scherzo beffardo della propria psiche.  In realtà corpo e  psiche sono sempre strettamente interconnessi e ciò vuole dire che il modo in cui ci sentiamo ha anche un correlato neuro-fisiologico.
Per poter comprendere l’attacco di panico è necessario, innanzitutto, tener presente che la paura è una risposta dell’organismo di fronte ad  un pericolo (reale o immaginario); essa è, quindi, funzionale alla sopravvivenza dell’essere vivente.

L’attacco di panico si manifesta spessissimo in situazioni quotidiane che non hanno mai rappresentato un problema per l’individuo (es. guidare l’auto, salire su un treno, ecc.); di conseguenza, non sempre si riesce a comprendere l’esordio del sintomo che appare, in un primo momento,  immotivato e imprevedibile. Se però, lo si guarda nella sua complessità, si può notare che generalmente si manifesta in periodi di transizione che determinano stress e/o cambiamenti.
Il nostro cervello, e in particolare l’amigdala ( una piccola struttura a forma di mandorla che si trova nel sistema limbico) funziona come un rilevatore di fumo, individua, cioè, se l’informazione in entrata sia rilevante o meno per la nostra sopravvivenza. Se l’informazione è percepita come una minaccia, l’amigdala attiva immediatamente l’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene), con rilascio di cortisolo e il sistema orto-simpatico con il rilascio di adrenalina.
In parole più semplici, di fronte al pericolo, il nostro corpo reagisce attraverso uno stato di iperattivazione con  le conseguenti  risposte  di attacco-fuga (es.  fuggire per mettersi in salvo o  attaccare l’avversario quando ci sentiamo minacciati). Questa iperattivazione produce ovviamente delle reazioni dal punto di vista fisiologico, come la vasocostrizione periferica cutanea (“pelle d’oca”, pallore, sudorazione), la diminuzione della salivazione, il tremore agli arti, lo svuotamento della vescica ecc.; mentre, dal punto di vista emotivo si sperimentano reazioni come impotenza,  terrore,  paura di morire e/o di impazzire.
L’insieme di queste reazioni psico-fisiche suscitano nel soggetto il timore di una “dissoluzione” mentale e fisica; possiamo comprendere, quindi, quanto un attacco di panico rappresenti un’esperienza traumatica in sé (Faretta, 2001).
Il timore che questa esperienza terrificante possa riaccadere diventa soverchiante al punto che l’individuo cerca di proteggersi attivando strategie di evitamento ( restare a casa, uscire il meno possibile, ecc.) che a lungo andare compromettono la propria vita sociale e lavorativa,  innescando  un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.

Il panico e il mondo interno

Gli attacchi di panico si presentano generalmente in giovani adulti in fase di svincolo mentre iniziano a organizzare la propria vita autonoma (non a caso molti attacchi di panico si verificano nei primi periodi universitari). La capacità di farvi fronte, dipende infatti dal suo livello di individuazione e dal livello di individuazione raggiunta nei suoi confronti dagli altri membri del nucleo familiare (Cancrini, 1991).
Secondo la teoria psicodinamica classica, l’origine dell’ansia deriva da situazioni traumatiche precoci, intese come situazioni frustranti dalle quali il bambino viene sopraffatto, determinando la condizione di bambino abbandonato, bisognoso e solo (Ammaniti, 2001).

Una caratteristica dei pazienti che soffrono di attacchi di panico è il sentimento di solitudine e la conseguente paura (non consapevole) di restare da soli. Potremmo quindi ipotizzare, come sostiene Francesetti, che il disturbo di panico sia un attacco acuto di solitudine, la stessa solitudine  sperimentata probabilmente da Pan dopo essere stato abbandonato ed esposto precocemente al mondo senza protezione.  L’essere umano, del resto, come sosteneva Aristotele, è un animale sociale.
Tuttavia, nella nostra cultura occidentale, dove predomina il culto dell’individualismo e del super uomo, si assiste ad una delegittimazione silenziosa e ad una negazione del bisogno di essere supportati. Ne consegue che il sentimento di solitudine e la paura ad esso associato,  non sempre sono consapevoli.
Chi soffre di attacchi di panico  spesso ha la convinzione di essere debole, di non saper gestire le proprie emozioni e vive con la paura del giudizio esterno, la quale aumenta ogni volta che il sintomo si manifesta in pubblico. Frequentemente, l’attacco di panico funge da spartiacque tra il prima e il dopo “Sono stato sempre una persona molto forte, un punto di riferimento per tutti, e ora non mi riconosco” e di conseguenza, la persona che ne soffre sente la propria identità sgretolarsi. A questo vissuto si accompagnano sentimenti di vergogna e di inadeguatezza, che induce chi le prova a isolarsi e a restare  bloccato nella  “falsa”  zona di confort invece di chiedere aiuto.
E’indispensabile precisare che nonostante la diagnosi possa essere la stessa per diverse persone, quello che conta è comprendere l’unicità del dolore personale che è sempre strettamente intrecciato alla propria storia di vita.
L’obiettivo di un percorso psicoterapico è quello di aiutare il paziente a diventare consapevole delle emozioni più nascoste, partendo dagli eventi scatenanti per giungere agli eventi originari, ossia i “Traumi” (generalmente di origine relazionale). Inoltre, seguendo un'ottica sistemica, è importante far luce sulle conseguenze del sintomo all'interno delle relazioni del paziente.
Il lavoro terapeutico consente, perciò, di  ricostruire prima e “ri-narrare” poi, la propria storia dotandola di un nuovo significato;  infine, fornisce nuovi strumenti per fronteggiare gli eventi interni ed esterni al sé. Ecco quindi che l’attacco di panico si trasforma in un’occasione preziosa per dare alla luce una parte di sé, passando prima tra le intemperie delle proprie fragilità e delle proprie emozioni.