giovedì 26 marzo 2015

Come le onde del mare



Uno dei testi che illustra egregiamente l’altalena affettiva di alcune relazioni è il brano “A me ricordi il mare” del cantautore romano Daniele Silvestri.

Nell’immaginario collettivo, il mare è un elemento misterioso, imprevedibile, affascinante, in grado di suscitare paura, disordine, fonte di vita ma anche spazio di morte.

L’ambivalenza di questi legami viene espressa attraverso l’ondeggiare “tra il gesto di chi afferra e quello di chi si trattiene” e l’imprevedibilità“Perché sei tu che quando arrivi sorridi e a me mi gira benissimo, e sempre tu che se decidi ti giri e mi pugnali in un attimo”.

Il partner si sente desiderato in maniera intermittente, passa dall’essere cercato, desiderato, persino “bombardato d’amore”, al sentirsi ignorato o anche rifiutato.

Tale condizione provoca un costante stato di allarme, la percezione che il pericolo sia sempre dietro l’angolo “così mi pare che va bene e invece non va e se migliora allora peggiorerà”.

Con il tempo questi rapporti appagano sempre meno e la richiesta di conferme e di continue attenzioni può diventare pressante “baci, baci ed abbracci che diventano lacci e più diventano stretti più nascondono impicci”.

La fame d’amore allora aumenta e produce un vuoto sempre più grande “Questo è un po’ il sapore del tutto compreso inclusa la consumazione, io l’ho già bevuta eppure ho ancora troppa sete soprattutto quando tu mi uccidi”;

la sensazione che si sperimenta è quella di precipitare sempre più giù “La discesa libera sui sassi senza aver le scarpe”.


Queste relazioni sono caratterizzate da due elementi fondamentali:

-la Dipendenza: il partner (spesso entrambi), non è capace né di stare da solo né di stare realmente in una relazione stabile;

-la Sfida: la conquista del partner è stimolante, emozionante, consente di vivere costantemente con l’adrenalina ed evitare l’abitudine e la noia.

In questa cornice, la fantasia, l’idealizzazione, la negazione giocano un ruolo importante: “se non fosse così sarebbe l’uomo/la donna della mia vita”, “magari cambierà con il tempo”, “forse non è come sembra, forse c’è una spiegazione diversa ai suoi comportamenti” ecc..

In questo modo è possibile vivere nell’attesa che la situazione, magicamente, si trasformi e diventi come era stata inizialmente immaginata.

Per questi ed altri motivi, la  rottura definitiva di tali relazioni avviene con molta fatica e spesso dopo lungo tempo; nel frattempo, però, quello che frequentemente accade è che la vita di uno dei partners si blocchi: i suoi rapporti con il mondo esterno si indeboliscono, molti progetti di vita vengono abbandonati.


Non si può separare se prima non viene individuato quel filo che unisce

Riprendendo la metafora del mare, quello che abitualmente accade è che ci si lasci trasportare dalle onde sentendosi spesso vittime dei cambiamenti di umore/comportamenti del partner o delle sue in/decisioni.

Convincersi di essere vittima e restare in questo ruolo può diventare molto pericoloso perché impedisce di comprendere il proprio contributo e, di conseguenza, di avviare un cambiamento importante per la propria rinascita.

Per individuare “il filo che unisce” è indispensabile spostare l’attenzione su di sé, sui propri bisogni, chiedersi: “Cosa posso fare di diverso affinché la situazione cambi?”.

La risposta potrebbe essere “Non oscillare” di fronte ai comportamenti dell’altro, non rincorrerlo ma porre un limite che molto spesso equivale ad “uscire dal gioco”, mettendo fine alla storia.

Accettare che la realtà è sempre la migliore amica, che evidentemente la persona che abbiamo di fronte non può offrirci nulla di diverso può essere il primo passo verso il cambiamento.

Un grande atto di amore verso sé stessi sarebbe poi concedersi la possibilità di sperimentare “l’attaccamento sicuro”, il nutrimento e la rassicurazione che caratterizza ogni sano rapporto d’amore.

 

 

 




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