lunedì 20 aprile 2020

Il Panico: dal terrore alla comprensione




Con il termine “panico” si intende uno stato di terrore difficilmente domabile provocato da un evento improvviso. L’etimologia deriva dal Dio  “Pan”  della mitologia greca; la leggenda narra che Pan, nato dall’unione tra il dio Ermes e la ninfa Driope, fu abbandonato alla nascita dalla madre, la quale, inorridita dalla sua bruttezza, si rifiutò di allevarlo. Pan infatti era dotato di un’espressione terrificante e aveva un corpo per metà uomo e per metà capra, con corna,  zampe irsute e zoccoli; era il Dio delle greggi, dei boschi e degli animali, un “Dio solitario dotato di una voce spaventosa che incuteva una grande paura (da qui il nome panico). Tuttavia, contrariamente al suo aspetto fisico, era un dio gioviale e generoso, sempre pronto ad aiutare chi chiedesse il suo aiuto.
Così come il Dio Pan aveva un duplice aspetto, non solo fisico ma anche caratteriale, allo stesso modo, in questo articolo, cercheremo di vedere la “l’altra  faccia” del panico, ovvero, la sua utilità dal punto di vista terapeutico.

Il Panico: non solo questione di psiche

Il DSM V (Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali) definisce l’attacco di panico  “Un improvviso attacco di intensa paura o intenso disagio, che raggiunge il culmine in breve tempo (nell’ordine dei minuti) e comprende sintomi come tachicardia, sudorazione, sensazione di soffocamento, dolore al petto, paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire.
Chi soffre di Panico, infatti, teme spesso che il disturbo sia solo nella sua testa, quasi fosse un’invenzione, uno scherzo beffardo della propria psiche.  In realtà corpo e  psiche sono sempre strettamente interconnessi e ciò vuole dire che il modo in cui ci sentiamo ha anche un correlato neuro-fisiologico.
Per poter comprendere l’attacco di panico è necessario, innanzitutto, tener presente che la paura è una risposta dell’organismo di fronte ad  un pericolo (reale o immaginario); essa è, quindi, funzionale alla sopravvivenza dell’essere vivente.

L’attacco di panico si manifesta spessissimo in situazioni quotidiane che non hanno mai rappresentato un problema per l’individuo (es. guidare l’auto, salire su un treno, ecc.); di conseguenza, non sempre si riesce a comprendere l’esordio del sintomo che appare, in un primo momento,  immotivato e imprevedibile. Se però, lo si guarda nella sua complessità, si può notare che generalmente si manifesta in periodi di transizione che determinano stress e/o cambiamenti.
Il nostro cervello, e in particolare l’amigdala ( una piccola struttura a forma di mandorla che si trova nel sistema limbico) funziona come un rilevatore di fumo, individua, cioè, se l’informazione in entrata sia rilevante o meno per la nostra sopravvivenza. Se l’informazione è percepita come una minaccia, l’amigdala attiva immediatamente l’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene), con rilascio di cortisolo e il sistema orto-simpatico con il rilascio di adrenalina.
In parole più semplici, di fronte al pericolo, il nostro corpo reagisce attraverso uno stato di iperattivazione con  le conseguenti  risposte  di attacco-fuga (es.  fuggire per mettersi in salvo o  attaccare l’avversario quando ci sentiamo minacciati). Questa iperattivazione produce ovviamente delle reazioni dal punto di vista fisiologico, come la vasocostrizione periferica cutanea (“pelle d’oca”, pallore, sudorazione), la diminuzione della salivazione, il tremore agli arti, lo svuotamento della vescica ecc.; mentre, dal punto di vista emotivo si sperimentano reazioni come impotenza,  terrore,  paura di morire e/o di impazzire.
L’insieme di queste reazioni psico-fisiche suscitano nel soggetto il timore di una “dissoluzione” mentale e fisica; possiamo comprendere, quindi, quanto un attacco di panico rappresenti un’esperienza traumatica in sé (Faretta, 2001).
Il timore che questa esperienza terrificante possa riaccadere diventa soverchiante al punto che l’individuo cerca di proteggersi attivando strategie di evitamento ( restare a casa, uscire il meno possibile, ecc.) che a lungo andare compromettono la propria vita sociale e lavorativa,  innescando  un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.

Il panico e il mondo interno

Gli attacchi di panico si presentano generalmente in giovani adulti in fase di svincolo mentre iniziano a organizzare la propria vita autonoma (non a caso molti attacchi di panico si verificano nei primi periodi universitari). La capacità di farvi fronte, dipende infatti dal suo livello di individuazione e dal livello di individuazione raggiunta nei suoi confronti dagli altri membri del nucleo familiare (Cancrini, 1991).
Secondo la teoria psicodinamica classica, l’origine dell’ansia deriva da situazioni traumatiche precoci, intese come situazioni frustranti dalle quali il bambino viene sopraffatto, determinando la condizione di bambino abbandonato, bisognoso e solo (Ammaniti, 2001).

Una caratteristica dei pazienti che soffrono di attacchi di panico è il sentimento di solitudine e la conseguente paura (non consapevole) di restare da soli. Potremmo quindi ipotizzare, come sostiene Francesetti, che il disturbo di panico sia un attacco acuto di solitudine, la stessa solitudine  sperimentata probabilmente da Pan dopo essere stato abbandonato ed esposto precocemente al mondo senza protezione.  L’essere umano, del resto, come sosteneva Aristotele, è un animale sociale.
Tuttavia, nella nostra cultura occidentale, dove predomina il culto dell’individualismo e del super uomo, si assiste ad una delegittimazione silenziosa e ad una negazione del bisogno di essere supportati. Ne consegue che il sentimento di solitudine e la paura ad esso associato,  non sempre sono consapevoli.
Chi soffre di attacchi di panico  spesso ha la convinzione di essere debole, di non saper gestire le proprie emozioni e vive con la paura del giudizio esterno, la quale aumenta ogni volta che il sintomo si manifesta in pubblico. Frequentemente, l’attacco di panico funge da spartiacque tra il prima e il dopo “Sono stato sempre una persona molto forte, un punto di riferimento per tutti, e ora non mi riconosco” e di conseguenza, la persona che ne soffre sente la propria identità sgretolarsi. A questo vissuto si accompagnano sentimenti di vergogna e di inadeguatezza, che induce chi le prova a isolarsi e a restare  bloccato nella  “falsa”  zona di confort invece di chiedere aiuto.
E’indispensabile precisare che nonostante la diagnosi possa essere la stessa per diverse persone, quello che conta è comprendere l’unicità del dolore personale che è sempre strettamente intrecciato alla propria storia di vita.
L’obiettivo di un percorso psicoterapico è quello di aiutare il paziente a diventare consapevole delle emozioni più nascoste, partendo dagli eventi scatenanti per giungere agli eventi originari, ossia i “Traumi” (generalmente di origine relazionale). Inoltre, seguendo un'ottica sistemica, è importante far luce sulle conseguenze del sintomo all'interno delle relazioni del paziente.
Il lavoro terapeutico consente, perciò, di  ricostruire prima e “ri-narrare” poi, la propria storia dotandola di un nuovo significato;  infine, fornisce nuovi strumenti per fronteggiare gli eventi interni ed esterni al sé. Ecco quindi che l’attacco di panico si trasforma in un’occasione preziosa per dare alla luce una parte di sé, passando prima tra le intemperie delle proprie fragilità e delle proprie emozioni.