giovedì 17 luglio 2014

La comunicazione pubblicitaria



Il Fenomeno Pubblicità

 La pubblicità è una particolare forma di comunicazione che ricopre oggi un ruolo sociale fondamentale; Puggelli ritiene che essa rappresenti il primo centro di potere in una società fondata sui presupposti politico-economici del consumismo (2000); Codeluppi la definisce “applicata” in quanto l’azienda che la produce vuole che essa, oltre a comunicare, raggiunga anche gli obiettivi aziendali attraverso la valorizzazione dei prodotti (2001).
Nonostante la sua apparente semplicità, rappresenta un fenomeno molto complesso: dietro una comunicazione pubblicitaria, infatti, c’è l’operato di soggetti con finalità e ruoli distinti ed in costante interazione tra loro (l’utente, l’agenzia pubblicitaria, le organizzazioni di supporto, i media ed il pubblico) e per tale motivo essa non può essere riconducibile esclusivamente al processo creativo o al singolo spot. Può essere definita in vari modi ma rappresenta sempre un fenomeno sociale cioè un “sistema di comunicazione messo a punto da individui che intendono comunicare con altri individui, sia pure nella fattispecie del messaggio di vendita, per influire sui loro comportamenti ed atteggiamenti, veicolato dai mass media, in continua interrelazione con il sociale” (Fabris, 1994, p.24).
Secondo Brioschi, la pubblicità è un attività di comunicazione di massa con carattere persuasorio, oneroso, proveniente da una fonte identificabile ed avente delle finalità di tipo commerciale (1984). La pubblicità è considerata anche un genere massmediologico che possiede la stessa autonomia e specificità comunicative dei generi istituzionalizzati delle comunicazioni di massa, un metagenere tra i mezzi di comunicazione e dai quali non è più dipendente come in passato; si distingue per la sua natura pervasiva in quanto assume molteplici forme: produce grande parte dell’immaginario e del sapere sociale, costituisce una guida per i comportamenti quotidiani delle persone, ricopre un ruolo importante nella costruzione delle identità sessuali e sociali (Codeluppi, 1995).
Il fenomeno pubblicitario ha preso forma progressivamente; già nell’antichità i commercianti utilizzavano insegne per attirare l’attenzione dei clienti ma la necessità di pubblicizzare è stata avvertita soprattutto con il passaggio dalla vendita di prodotti per strada a quella all’interno della bottega, che rese necessario l’utilizzo di segnali ancora più vistosi. Nel Rinascimento, in seguito ai traffici commerciali internazionali, si manifestò l’esigenza di valorizzare le caratteristiche del prodotto, esigenza soddisfatta inizialmente dai venditori ambulanti che descrivevano le merci a voce alta per le strade.
Solo dopo l’invenzione della stampa fu possibile affiggere i primi manifesti e comparve la réclames sui giornali cioè la prima forma di pubblicità basata su un testo simile a quello degli articoli giornalistici. Tra il Settecento e l’Ottocento nacque la figura dell’agente pubblicitario in seguito all’intuizione, da parte delle aziende, del vantaggio di acquistare gli spazi disponibili sui giornali. Intanto i progressi delle tecniche di stampa aumentavano, nacquero infatti i primi manifesti illustrati che raggiunsero una migliore efficacia espressiva con l’invenzione della cromolitografia, una tecnica di stampa a colori nata nel 1836. A partire dai primi decenni del Novecento, la pubblicità assunse il carattere di un vero sistema industriale e di comunicazione che contribuì alla creazione di una cultura di massa per la società dei consumi.
Negli ultimi decenni, la pubblicità è diventata una dimensione sempre più rilevante delle vita economica e sociale ed ha assunto funzioni che vanno oltre la semplice sollecitazione delle vendite. Brigida afferma infatti che il suo scopo non è tanto informare ma suscitare interesse verso prodotti, marche e servizi; essa provoca rapidamente notorietà alla marca, più lentamente crea un’immagine (2001).
In un contesto sociale ed economico dove “il consumo appare progressivamente metamorfosarsi in segno, in comunicazione” (Fabris, 1994, p.31-32), la pubblicità diventa il più importante strumento di attribuzione di senso sociale al mondo delle cose; essa è chiamata ad attribuire al prodotto un supplemento d’anima in grado di renderlo più appetibile (Semprini, 2003). Secondo Codeluppi svolge contemporaneamente due processi di trasferimento di significato: dalla pubblicità al prodotto e da questo al consumatore attraverso l’atto d’acquisto (2001).
Gli individui ricercano nei prodotti che acquistano significati differenti da quelli direttamente riconducibili alla fruizione materiale del bene; ciascuno consuma per differenziarsi dalle classi sottostanti ed adotta modelli di consumo delle classi superiori, con l’obiettivo di avervi accesso (Fabris, 1994).
I prodotti diventano, quindi, indicatori nella gerarchia degli status e lo standing si aggiunge ai parametri fondamentale delle scelte di consumo. Ecco che la pubblicità si trasforma secondo Vecchia in “specchio delle mie brame” cioè uno specchio che riflette a chi lo guarda un’immagine di sé gratificante e consolatoria (cit. in Fabris, 1994, p. 19). Le merci, quindi, svolgono una funzione comunicativa che va a soddisfare i bisogni del consumatore. Tuttavia, come osserva Codeluppi, il sistema semiotico delle merci è un sistema in continua trasformazione dove i significati mutano continuamente (1989); la semantizzazione rende necessario il turnover della merce infatti molti prodotti escono dal mercato quando si desemantizzano cioè quando non svolgono più la funzione comunicativa che li aveva caratterizzati in precedenza diventando inidonei a soddisfare i bisogni degli acquirenti; si parla in questo caso di usura comunicativa.
La pubblicità è stata accusata spesso di far nascere desideri effimeri; in realtà, essa non crea bisogni ma li enfatizza attingendo continuamente dall’immaginario collettivo della cultura di massa per estrarne simboli e segni. Secondo Codeluppi (1995), la pubblicità non crea valori né produce nuovi atteggiamenti piuttosto riflette quelli già esistenti e sfrutta gli atteggiamenti più diffusi, rafforzandoli. Galbraith (1968) ritiene che essa agisca sulla nostra mente, inducendoci a credere di aver bisogno di un determinato prodotto (“Che mondo sarebbe senza Nutella?”, Triani, 2002) mentre il desiderio di possedere nasce nel momento in cui il prodotto viene esposto (De Liso, 1997). La pubblicità “semplifica e stereotipizza…non descrive la società com’è ma come dovrebbe essere, proponendo dei modelli di riferimento…è sempre ottimistica provvedendo, per ogni inconveniente che identifica, una soluzione tramite un prodotto o uno stile di vita” (Fabris, 1994, p.71).
Essa inoltre mobilita tre tipi di sapere:

1. “conoscenza pratica” che consente di affrontare e risolvere le difficoltà che si presentano nella vita quotidiana;
2. “autoriconoscimento” che offre la possibilità di conoscersi ed esplorarsi;
3. “chiave per il mondo” cioè una forma di galateo cui fare riferimento per gestire le relazioni sociali (Codeluppi, 2001).


Pubblicità ed opinione pubblica: l’evoluzione degli atteggiamenti

L’immagine della pubblicità presso l’opinione pubblica ha subìto, nel corso dei decenni, notevoli cambiamenti; essa si è modificata parallelamente all’evolversi del contesto economico-sociale, in funzione dei suoi valori e dei suoi consensi. Gli atteggiamenti del pubblico non sono stati mai di neutralità ma di amore in alcuni periodi e di ostilità in altri.
Negli anni Cinquanta, il sistema sociale italiano subisce un processo di rinnovamento che investe gradualmente i bisogni, i valori ed i comportamenti della popolazione; l’influenza dei mass media, la scolarizzazione, il superamento di una società di tipo contadino-tradizionale ed altri processi guidano gli individui verso modalità di comportamento sociali e culturali moderni. In questo periodo, la pubblicità è fonte di ambivalenze perché da un lato si pone come contesto di riferimento, proponendo e veicolando stili di vita e consumi della società moderna, dall’altro viene accusata di indurre a consumi inutili, di favorire lo spreco e di essere mendace.
Negli anni Sessanta, invece, la pubblicità raggiunge il culmine dei consensi in quanto il modello di vita che emerge s’incentra sul consumo; mentre prima era considerato Virtuoso chi risparmiava ora Virtuoso lo è chi consuma perché contribuisce a far girare il motore dell’economia (Fabris, 1994). La pubblicità diventa lo strumento per conseguire il progresso, per affermare una cultura industriale, per proporre nuovi modelli di consumo e nuove interpretazioni di ruoli.
Questi sono gli anni del successo di Carosello il cui consenso pubblicitario non sarà mai uguagliato da nessun altro genere del palinsesto televisivo (Fabris, 1994).
Negli anni Settanta, la società italiana subisce una seconda crisi; il quadro di vita emerso nel decennio precedente viene nuovamente messo in discussione. Emergono nuovi gruppi sociali portatori di valori antagonisti al consumismo ed alla produttività. La pubblicità subisce una perdita di goodwill; essa viene accusata di manipolare le coscienze e di privilegiare gli obiettivi di consumo e stili di vita estranei al contesto, come argomentato già da Packard con “I persuasori occulti” in cui svela l’occulto che si nasconde dietro la persuasione operata dai media pubblicitari (1957).
Gli anni Ottanta vedono l’affermarsi di un clima culturale che privilegia la soggettività individuale e l’edonismo. Si assiste ad un nuovo orientamento al consumo che non ha precedenti come testimoniato dal boom della moda, del prestigio e del riconoscimento sociale. La pubblicità diviene un importante agente di modernizzazione ed un emblema della creatività. Gli investimenti pubblicitari subiscono un forte incremento grazie soprattutto al mezzo televisivo, il primo mezzo utilizzato nelle pianificazioni pubblicitarie (Brigida, 2001).
Il contesto sociale degli anni Novanta condivide con il decennio precedente molti valori ma si differenzia per il raggiungimento di un maggiore equilibrio, compresi gli investimenti pubblicitari; il quadro di riferimento della pubblicità muta ulteriormente: il consumatore diventa più maturo nelle scelte e di conseguenza si ridimensionano le accuse di manipolazione occulta e lo stereotipo di falsità associato ad essa. Emerge un atteggiamento pragmatico che segue la strategia del case by case approach. Il goodwill nei confronti della pubblicità viene ricondotto sostanzialmente alla funzione ludica ed a quella informativa.

La persuasione 

La persuasione può essere definita come il tentativo di provocare cambiamenti nelle idee ed opinioni altrui e di convincere altre persone a mettere in atto certi comportamenti piuttosto che altri (Zanacchi, 1999). Questo fenomeno che “ha animato l’uomo fin dai primi scambi comunicativi” (Cavazza, 1997, p. 8), è stato affrontato con molto interesse dalla psicologia sociale e costituisce la base per la comprensione del fenomeno pubblicitario.
Il processo di persuasione messo in atto dal linguaggio pubblicitario riconosce un destinatario autonomo, intelligente e reattivo che valuta sulla base delle sue conoscenze ed emozioni; l’individuo non è più considerato un soggetto passivo che può essere manipolato, di conseguenza, l’immagine autocratica della pubblicità capace di suggestionare cede spazio ad una nuova concezione. Se la psicologia meccanicistica riteneva che la natura ed il contenuto dello stimolo (ovvero della pubblicità) fossero quasi irrilevanti, adesso per avere successo è necessario tener conto dei bisogni dell’individuo, delle sue attese, motivazioni, atteggiamenti e meccanismi di difesa.
La motivazione è l’energia che spinge l’individuo in una certa direzione, che lo induce ad assumere un determinato comportamento: la pubblicità per svolgere la sua funzione deve soddisfare le motivazioni del soggetto inerenti il prodotto reclamizzato (Fabris, 1994). Le motivazioni si originano a diversi livelli di consapevolezza dell’individuo:

1. Livello cosciente o razionale. Le motivazioni d’acquisto sono espresse a livello razionale, l’individuo parla apertamente delle sue preferenze ed opinioni; la pubblicità si rivolge a quest’area fornendo informazioni, reason why e supporting evidence.
2. Livello pre-conscio. Le motivazioni che si formulano a questo livello non sono del tutto coscienti, il consumatore preferisce non parlarne e non riconoscerli piuttosto sarà indotto a fornire razionalizzazioni.
3. Livello inconscio. In quest’area ci sono quelle motivazioni di cui il consumatore non è consapevole ma che sono in grado di poter determinare il suo comportamento.

Nel contesto della pubblicità, gli atteggiamenti rappresentano un sistema di credenze, associazioni, immagini e ricordi inerenti la marca (Joyce, 1980); la conoscenza degli atteggiamenti del consumatore rappresenta per l’impresa un patrimonio prezioso attraverso il quale poter predire i consumi futuri.
In un atteggiamento ci sono tre componenti principali:

1. Componente cognitiva: riguarda la conoscenza, le credenze, le opinioni che un individuo dispone su un prodotto o una marca.
2. Componente affettiva: comprende i sentimenti, le emozioni, le valutazioni positive o negative relative al prodotto.
3. Componente conativa: si riferisce alle predisposizioni all’azione.

Una caratteristica fondamentale degli atteggiamenti è la loro forte interdipendenza: essi tendono ad essere congruenti, infatti è improbabile trovare un atteggiamento isolato dagli altri. Secondo la teoria di Festinger sulla dissonanza cognitiva, gli atteggiamenti dell’individuo sono consistenti tra loro: quando c’è una dissonanza, cioè una inconsistenza tra più elementi cognitivi, si verifica una tensione che induce l’individuo a risolverla (1957).
Esiste una relazione circolare tra atteggiamenti, comportamento d’acquisto e pubblicità: gli atteggiamenti influenzano e determinano i comportamenti e quando questi vengono rinforzati si verifica un riverbero sui primi; inoltre la pubblicità mira ad influenzare gli atteggiamenti così come questi influenzano l’azione della pubblicità innescando dei feedback.
Per salvaguardare i propri atteggiamenti, l’individuo dispone di alcuni meccanismi di difesa: esposizione selettiva, percezione selettiva e memorizzazione selettiva. Il consumatore tende ad esporsi a quelle comunicazione congruenti alle sue opinioni e ad evitare quelle dissonanti; per questo motivo, la pubblicità cerca di contrastare l’esposizione selettiva attraverso la ripetizione e l’inaspettatezza. Quando invece l’individuo viene raggiunto dalle comunicazioni discordanti, tende a deformarne ed a reinterpretarne il contenuto per farlo coincidere con le proprie convinzioni. Infine, nei casi in cui il messaggio viene correttamente interpretato, verrà con molta probabilità dimenticato prima rispetto ad altri messaggi.
L’agire di consumo può essere compreso solo attraverso una corretta analisi del rapporto gruppo-individuo, dei processi psicologici individuali e dell’influenza del gruppo di appartenenza: secondo Asch l’individuo in quanto consumatore agisce attraverso i suoi processi psicologici che sono prettamente individuali e non riguardano il gruppo; tuttavia l’individuo subisce anche l’influenza del proprio gruppo che lo induce a pensare e ad agire in un determinato modo.


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